Cultura | Il saggio

L'odio evaporato

A trent’anni dalla pubblicazione di “Sangue e suolo”, Sebastiano Vassalli torna a scrivere di Sudtirolo, corregge il tiro, ma sbaglia ancora bersaglio.

Dal 28 maggio è nelle librerie l’annunciato nuovo libro di Sebastiano Vassalli: Il confine. I cento anni del Sudtirolo in Italia (Rizzoli). Esattamente trent'anni fa Vassalli pubblicò un altro famosissimo, e contestato, volume sul Sudtirolo (allora da lui chiamato però Alto Adige), indispensabile per comprendere il punto di vista “italiano” su molte questioni (soprattutto di natura psicosociale) riguardanti l’autonomia speciale della quale è dotata questa terra. La domanda preliminare che dunque possiamo farci è questa: perché lo scrittore ha sentito il bisogno di tornare sull'argomento? Si tratta di una rettifica? Oppure di una difesa postuma del primo libro, dunque di una conferma delle sue tesi?

Ricordo che quando arrivai in Sudtirolo – nel 1997 – Sangue e suolo fu tra i primi libri che lessi. Volevo capire dove ero arrivato e l’accoppiata Vassalli/Einaudi prometteva autorevolezza. Il sottotitolo – geniale e illuminante – cifrava poi una percezione che anche a me, a quel tempo, sembrava condivisibile: “Viaggio fra gli italiani trasparenti”. Non era forse evidente che in questa provincia tutto veniva regolato da una sorta di apartheid? Non era forse vero che ogni cosa risultava dominata/controllata dai “tedeschi”, mentre per gli “italiani”, quando andava bene, era previsto solo un ruolo secondario e trascurabile (come se essi, per l’appunto, fossero entità trasparenti)?

Non riepilogo qui le tappe che mi hanno portato progressivamente a considerare quella “bibbia dell’italiano incazzato” (la definizione è di Alexander Langer) un contributo fuorviante per comprendere davvero, cioè in modo più obiettivo, la realtà locale. Dirò solo che il superamento del “paradigma Vassalli”, come mi è capitato una volta di chiamarlo, è diventato un po’ il motto del mio stesso modo di accostarmi ai fatti di questa provincia. Segno evidente, però, che tale paradigma continuava ad essere operante, e non ho difficoltà ad ammettere che ciò era in primo luogo possibile perché lo scrittore ligure fu capace di esprimere in modo brillante un sentimento diffuso e radicato.

Bene, ma cosa potrebbe accadere – mi sono chiesto appena appresa la notizia dell’uscita di questo nuovo testo – se adesso fosse lo stesso autore a mettere in crisi il paradigma da lui codificato? Perché queste erano le voci, le anticipazioni fatte trapelare: Vassalli ci ha ripensato, dopo trent’anni la sua amara previsione sul declino degli italiani in una provincia sempre più tedesca non si è avverata; il Sudtirolo non è poi quel carcere a cielo aperto descritto da Sangue e suolo; al contrario, è una terra fiorente, ricca, con un benessere diffuso; insomma, adesso è possibile finalmente raccontarne la storia con sfumature incoraggianti, indirizzandosi proprio a quegli italiani che – cito la premessa del libro – “di quella vicenda, in fondo, hanno sempre saputo poco e, peggio: hanno sempre capito poco”.

A Vassalli non viene in mente di essere stato (almeno in parte e pur con tutte le attenuanti del caso: Sangue e suolo fotografa una situazione non a tutto tondo, ma allora sicuramente percepibile) collaboratore di questa disinformazione. Più che esaminare in dettaglio i motivi della propria rappresentazione sfocata, quindi fornendo un convincente ritratto del miglioramento avvenuto, apprendiamo così che l’occasione di scrivere questo libro gli è data esteriormente da due prossime ricorrenze (quella della fine della Prima guerra mondiale e della stipulazione del trattato di pace tra Italia e Austria), e in sostanza dalla constatazione che ormai il Sudtirolo è “terra italiana” da 100 anni.

Se il saldo sul lungo periodo è meno fosco di quel che si poteva anticipare trent’anni fa, questa l'acquisizione centrale del libro, ciò è comunque dovuto in gran parte all’eclissarsi di un fattore sentimentale, al pensionamento di un “personaggio segreto” che viene identificato col sentimento dell’odio. “L’odio ha ormai più di ottant’anni e può darsi che, come certi pensionati, dedichi la maggior parte del suo tempo ad una attività che senza affaticarlo troppo lo tiene in forma e gli permette di continuare ad essere utile ai suoi familiari, cioè ai fantasmi della vecchia Europa. Forse è lui il coltivatore delle fandonie storiche in Sudtirolo/Alto Adige” (pp. 129-130). Parimenti, e rovesciando il sentimento dell’odio nel suo opposto, alla successione dei tre governatori succedutisi al timone del Land – Silvius Magnago, Luis Durnwalder, Arno Kompatscher – non vengono dedicate molte pagine d'analisi: basta alludere al fatto che la figlia dell’ultimo “ha avuto un fidanzato italiano”.

Quando Vassalli si dedica a descrivere la situazione presente ci si accorge del suo respiro corto, come se lo sguardo rimanesse impigliato in superficie (“Chi, in treno o in automobile, attraversa [la regione] in un giorno di sole e si guarda attorno, stenta a credere che proprio qui si siano potute scrivere alcune tra le pagine più cupe della storia del nostro continente nell’ultimo secolo”). Perché non sono solo i sentimenti quali l’“odio” e l’“amore” a muovere in profondità la storia (neppure la nostra storia sudtirolese), bensì le azioni, spesso minime, apparentemente poco eclatanti, di chi riesce a sospendere gli automatismi e i riflessi condizionati generati dalla propria cultura di appartenenza. E soprattutto: i grandi mutamenti strutturali legati allo sviluppo complessivo dell’economia e della società, nonché i dispositivi legali che riducono gli attriti tra interessi contrapposti. A questo proposito significativa, ma isolata, l’ammissione di aver valutato male a suo tempo la “proporzionale etnica”: “Pensavo fosse inaccettabile, nel ventesimo secolo e in un Paese europeo, che incarichi e posti di lavoro venissero assegnati in base all’etnia (parola oltretutto di dubbio significato) anziché in base al merito e alle capacità personali. Detto questo, devo però aggiungere che le vicende umane, a volte, come in questo caso, sono così complicate da rendere necessario ciò che in via di principio non sarebbe accettabile, e da richiedere che un errore venga corretto con un errore di segno opposto” (pp. 95-96).

Si prendano ad esempio i capitoli in cui, parlando dei resti monumentali del fascismo e quelli psicologici del nazismo, lo scrittore “sogna” di veder realizzato un museo in grado di estinguere definitivamente il passato nefasto del Novecento. Possibile che non abbia avuto notizia dell’apertura del centro di documentazione ricavato sotto al Monumento alla Vittoria? E perché non citare la meritoria opera di Gerald Steinacher sui nazisti transitati per il Sudtirolo nel tentativo di sfuggire ai processi che li avrebbero condannati (disponibile anche in traduzione italiana)? In questo caso la riduzione dell’odio non è frutto di una provvidenza benigna e un po’ casuale, ma di tenace e talvolta surmatura (è il caso del “trattamento” riservato al Monumento) chiarificazione. Si tratta peraltro di un’opera mai conclusa, da rinnovare costantemente, e in Sudtirolo (come ovunque) viene compiuta non senza essere purtroppo affiancata da espressioni di segno opposto.

Per finire, leggendo Il confine si ha la sensazione di trovarci davanti a un libro che, pur constatando l’happy end di un percorso tormentato, non riesce né a spiegarne fino in fondo la dinamica, né a cogliere i rischi effettivi che si nascondono nelle pieghe del suo successo. Certo, l'odio che una volta si respirava sembra evaporato, eppure – addensato in altra forma, oppure disciolto nel potentissimo solvente dell'indifferenza – esso continua a sussistere minacciando una sua precipitazione più sottile e per questo inavvertita. Il difetto consiste probabilmente nel focalizzare ancora una volta l’analisi sulla modulazione fatalistica di un conflitto (beninteso: quello tra tedeschi e italiani, giacché i ladini – tanto per cambiare – non vengono neppure nominati) al quale si sono però nel frattempo sovrapposte linee di frattura di ben più ampia portata. Il confine del Brennero – scrive Vassalli – è ormai diventato “un passaggio dove si controllano (quando si controllano) le merci”. Peccato che ogni giorno ci siano decine e decine di migranti sbandati alla disperata ricerca di un treno che li porti oltre frontiera, per loro tutt'altro che “immaginaria”. E chi non ce la fa è trattenuto in una condizione di sospensione – di vera e propria “trasparenza legislativa”, per usare l'espressione cara a Vassalli – che fa apparire l’autonomia sudtirolese come un paradiso perduto di vecchi ed escludenti privilegi.

Affinché il Sudtirolo possa davvero assumere il ruolo di un “laboratorio di civiltà, che tra mille ostacoli cerca di superare i vecchi problemi e di aprire nuove prospettive anche per gli altri continenti” (queste parole, che traggo dal testo, non sono però riferite al Sudtirolo, bensì all’Europa), sarebbe forse opportuno spendere meno energie nei tardivi festeggiamenti della nostra “grande storia” e dedicarci rapidamente a comprendere il più vasto contesto dal quale stiamo cercando invano di proteggerci.

 

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Hans Knapp Gio, 06/04/2015 - 22:56

Das möchte ich unterstreichen:
"Affinché il Sudtirolo possa davvero assumere il ruolo di un “laboratorio di civiltà, che tra mille ostacoli cerca di superare i vecchi problemi e di aprire nuove prospettive anche per gli altri continenti” (queste parole, che traggo dal testo, non sono però riferite al Sudtirolo, bensì all’Europa), sarebbe forse opportuno spendere meno energie nei tardivi festeggiamenti della nostra “grande storia” e dedicarci rapidamente a comprendere il più vasto contesto dal quale stiamo cercando invano di proteggerci."

Gio, 06/04/2015 - 22:56 Collegamento permanente
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Maximilian Ben… Sab, 06/06/2015 - 22:07

Caro Gabriele, riesci sempre a donarmi qualche ricordo che mi sono dimenticato o spunto su cui riflettere.
Solo un'appunto: il cosiddetto disagio degli italiani ha ragione d'essere o no? Forse questo disagio almeno può essere concesso a classi sociali deboli?

Sab, 06/06/2015 - 22:07 Collegamento permanente
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Gabriele Di Luca Dom, 06/07/2015 - 20:47

In risposta a di Maximilian Ben…

Sul tema del "disagio degli italiani" si potrebbe cominciare (o ricominciare a discutere) solo sottoponendo i termini "disagio" e "italiani" (e forse anche la congiunzione "degli") a uno snervante (per chi lo fa e per chi lo legge) lavorio di decostruzione. Meglio continuare a sorvolare, come stiamo facendo tutti da una decina di anni a questa parte. Se proprio però a qualcuno interessasse approfondire, basta leggersi i libri di Lucio Giudiceandrea e Aldo Mazza.

Dom, 06/07/2015 - 20:47 Collegamento permanente
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Guido Gentilli Lun, 06/08/2015 - 10:23

Non ho il letto il libro e non lo farò, perché condivido in pieno le critiche Di Luca su "sangue e suolo". In più, devo aggiungere che quel libro mi era sembrato esageratamente emotivo, difetto che detesto.
Meglio amare Vassalli per quello che è realmente, un grande romanziere.

Lun, 06/08/2015 - 10:23 Collegamento permanente