Economia | PA

Codice degli appalti e assetto della PA

Il "Codice degli Appalti" è un monumento, anzi IL monumento alla burocrazia italiana.
Avvertenza: Questo contributo rispecchia l’opinione personale dell’autore e non necessariamente quella della redazione di SALTO.
Il "Codice degli Appalti", cosí come normalmente è indicato il D.lgs 163/2006, detto anche "De Lise" in onore del suo principale estensore, il consigliere di Stato Pasquale De Lise, è un monumento, anzi IL monumento alla burocrazia italiana.   273 articoli, 38 allegati, suddiviso in 5 parti, 8 titoli, 22 sezioni e 16 capi che disegnano con precisione estrema, quasi maniacale, il procedimento che la PA deve seguire per acquisire un qualsiasi bene.   La sua complessità (un codice commentato e arricchito con le varie sentenze consta di migliaia di pagine) e la visione che questa norma introduce in un ambito così fondamentale, hanno avuto ripercussioni pesantissime sull'intera PA italiana, tanto pesanti da tracciare un vero e proprio solco. La PA dopo il De Lise è un'altra e non sempre migliore.   I numeri sono impressionanti: il codice è stato modificato da 51 norme diverse e le relative 18 leggi di conversione; gli articoli hanno subito 592 modifiche e solo il 42% conserva il testo originario; 6.155 sono le sentenze del TAR e i pareri dell'Autorita di Vigilanza che hanno avuto come oggetto uno o più articoli del Codice.    Forse nemmeno Pasquale De Lise poteva immaginare un tale impatto, e forse nemmeno l'effetto collaterale più importante, visto che questo é determinato più dalla complessità bizantina del Codice che non dal suo contenuto: la trasformazione della PA in una gigantesca centrale di committenza.   Con tutto ciò che da questo discende.   La sua applicazione infatti è talmente complessa e rischiosa che le risorse e l'attenzione dedicata a questo aspetto nella PA è diventata assolutamente prioritaria. Questo a sua volta ha avuto delle fortissime ricadute, selezionando o trasformando una classe dirigente di super burocrati esperti di appalti anche in quei (pochissimi) settori tecnici e/o orientati all'erogazione dei servizi, contribuendo fra l'altro in modo determinante al depauperamento delle risorse interne alla PA. Ma forse quello che è peggio ha introdotto inefficienza nei processi di acquisizione dei beni/servizi/L.P., un elevato numero di contenziosi, fino ad arrivare nei casi limite all'incapacità di operare.    Senza per altro aumentare la qualità e, come gli innumerevoli scandali ci ricordano, nemmeno la trasparenza e la correttezza, aspetti questi alla base dell'esistenza stessa del Codice.   Ma non solo, ha radicalizzato la percezione, dagli effetti malevoli, che la responsabilità dirigenziale sia di tipo puramente formale e in nessun modo sostanziale. In altre parole, se hai fatto una gara formalmente corretta ma con un esito magari disastroso per l'Ente, tu dirigente sei a posto, hai seguito la norma e nulla ti si può rimproverare. Viceversa, hai fatto risparmiare l'Ente, hai fornito un servizio eccellente ma hai violato il Codice, anche solo per aspetti puramente formali, allora sei comunque sanzionabile.   È più che evidente che l'atteggiamento dei dirigenti pubblici a questo punto sempre più si è incentrato sul rispetto formale della norma che in termini pratici si declina nel famoso "pararsi il culo" assunto a paradigma e scopo primario dell'attività amministrativa che é diventata il mero rispetto della norma lasciando a semplice corollario l'erogazione del servizio. Con gli immaginabili nonchè evidenti effetti disastrosi per l'utenza ossia per il cittadino, vera vittima finale.    Non è solo colpa del Codice per la verità, una buona mano ce l'ha messa la PA stessa che non ha saputo riorganizzarsi correttamente per fare fronte ad un cosí radicale cambiamento.   Tutto questo ha creato un danno di immagine (come se ce ne fosse stato bisogno) colossale che sta giustificando interventi politici che tendono, seguendo la moda attuale, al totale depotenziamento e svuotamento della PA.   Tanto da sembrare quasi fatto ad hoc. È difficile altrimenti immaginare come mai una norma così odiata e palesemente inefficace sopravviva.   Un esempio di come si sta procedendo ? Eccolo: se la PA é una mera centrale di committenza, si dice, che ce ne facciamo di tante centrali ? Facciamo una sola centrale di committenza !  L' avvalorare quello che sembra ovvio basandosi solo sulla "sensazione" e senza un minimo di analisi razionale é una tecnica molto diffusa dalla politica e rappresenta una raffinata evoluzione del metodo populista.    E così danno si aggiunge al danno.
A mio parere in questa direzione va anche la proposta di  riforma del Codice  sponsorizzata da Renzi in accordo con il Ministro Lupi perchè cerca di ridisegnare la norma valutando la PA dopo gli effetti del Codice e imputando ad essa (e non al Codice) i relativi problemi.

Più corretto sarebbe partire da un'idea di PA e quindi creare un nuovo Codice ad essa aderente. Chiaro peró che se l'idea di PA é proprio quella implicitamente disegnata dalla riforma allora non c'é differenza. Peccato che ci propinino una riforma della PA implicitamente attraverso la riforma di un Codice...

Come se ne uscirá ?
  Personalmente credo che alla fine vincerá il modello liberista e che la PA, messa nelle condizioni di non operare, verrà di fatto ridotta ai minimi termini. Giusto, sbagliato ? Difficile da dire, nel malato contesto italiano in particolare. Di una cosa sono certo: ne vedremo delle belle. Un sentito ringraziamento al dott. Pasquale De Lise.