Cultura | SALTO AFTERNOON

L'estate più lunga dell'Europa

Il nuovo romanzo di Maxi Obexer offre una commovente riflessione sul concetto di Europa, sulla condizione degli immigrati e sull’identità di chi ha più di una patria.
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Foto: realfiktionen.worpress.com

È l’estate del 2015. Migliaia di persone si fanno strada per raggiungere l’Europa e salvarsi da guerre, carestie, povertà. Anche Maxi Obexer, scrittrice originaria di Bressanone, è in viaggio: in quei giorni, dopo lunga trafila, riceve la cittadinanza tedesca. È così che la sua vicenda personale, di altoatesina di madrelingua tedesca che da vent’anni ha trovato a Berlino una sua lingua, una sua identità e una sua voce, diventa spunto per una riflessione sulle migrazioni, sull’Europa e sul concetto di identità e appartenenza nazionale. Tutti temi che da anni caratterizzano la sua produzione.

Su un treno che dall’Alto Adige è diretto verso Nord, nell’estate più lunga dell’Europa (Europas längster Sommer, appunto) - quella che il mondo sembra ignorare fino alla foto-simbolo di Aylan, il bambino siriano trovato morto sulle coste della Turchia - accanto a Maxi Obexer anche un gruppetto di rifugiati sta cercando di addentrarsi in Europa. Ma se per Maxi Obexer la cittadinanza italiana acquisita per nascita e quella tedesca appena ottenuta sembrano conquiste di diritto, per quei giovani hanno ancora il sapore di un sogno lontano.

È così che l’autrice inizia a chiedersi: cosa sono queste terre nuove che l’umanità, da sempre, cerca per un futuro migliore? Che cosa rappresenta l’Europa, oggi? Da questi interrogativi parte la riflessione di questo bellissimo romanzo della scrittrice altoatesina, già nota al pubblico germanofono per la sua produzione teatrale e radiofonica, narrativa e saggistica.

In questo caso, oltre alla narrazione delle nuove migrazioni verso l’Europa, è la vicenda personale che si intreccia alla trama. La necessità di un altrove, in gioventù, la sentono in molti. Spazi più grandi, più accoglienti, spazi nuovi in cui (re)inventarsi quando ancora non si sa bene cosa si è, né cosa si diventerà, ma si intuisce che ciò che c’è non basta. E allora, come molti abitanti di questa nostra terra che francamente non so più come chiamare, se Südtirol, Sudtirolo, Alto Adige o altro, anche Maxi Obexer parte, e va in Germania. Altri hanno scelto l’Austria, la Svizzera, l’Italia o luoghi ancora più lontani. Il dove, in realtà, non importa. Ovunque si vada, si lascia la propria terra, si esce dalla propria comfort zone.

Il primo ostacolo, per assurdo, è la lingua: quanto può confondere una lingua che si parla benissimo, che è la propria lingua madre, ma che pure appartiene a un’altra cultura? Il tedesco di Maxi Obexer a Berlino stona, per andare alla ricerca di sé l’autrice deve cercare anche una lingua in cui esprimersi, in cui essere. Cosa si può diventare lontano da casa? Come ci si può definire quando si è simili ma non uguali, quando anche nel luogo da cui si proviene si è considerati una minoranza? Che poi, esiste una maggioranza? E come replicare a chi, scoprendo le sue origini, le mostra sempre prontamente solidarietà rispetto al diritto a uno Stato?

[…] Sono infuriata: come possono semplicemente ignorare quello che è successo e si è mosso in quasi cent’anni? Che è poi la vita vissuta quotidianamente da persone di lingua tedesca, di lingua italiana e di lingua ladina che condividono un’epoca sociale e politica?

Non pensano alla migrazione italiana con cui, a partire dagli anni Trenta, è raddoppiata in un sol colpo la popolazione nel capoluogo di provincia? Non ci pensano che anche loro, oramai, sono residenti qui da molto, e da molto sono ormai intrecciati nel tessuto sociale? Non sono i sudtirolesi di lingua tedesca che oggi hanno bisogno di lealtà, ma gli altoatesini di lingua italiana e la loro storia, la loro immigrazione, la loro presenza, l’immagine che hanno di sé. Sono la minoranza italiana all’interno di una minoranza di lingua tedesca all’interno di uno stato nazionale italiano. A loro chi pensa?

"Nella vita quotidiana convivono gli uni accanto agli altri: fanno affari insieme, entrano in relazione, fondano famiglie e celebrano feste. Che trasformazione seguono, uomini e corpi, se non quella dei movimenti e mutamenti della vita quotidiana?” (trad. mia)

Il tentativo di cucirsi addosso una nuova identità non toglie mai una struggente nostalgia per casa, che è poi la madrepatria, la madrelingua, il luogo in cui rimane la madre.

A un certo punto, solo dopo molti anni, mi sono chiesta che cosa le avessi fatto, a forza di lasciarla continuamente lì, in piedi, come abbandonata. In giardino, alla fermata dell’autobus, sul binario. […] Vidi mia madre sul marciapiede in stazione, la vidi portarsi la mano sulla bocca, la vidi mentre le venivano le lacrime agli occhi per me, che doveva lasciare andare, mentre il treno si metteva in moto. 

Ciò che si lascia e ciò che si trova; due luoghi, due mondi in cui ci si muove alla ricerca di un’identità di origine per definire una nuova identità. Non riconoscendosi forse mai più appieno, né nell’una, né nell’altra. Ma essendo, in un certo senso, sempre “altro”, “di più”. Come fa dire l’autrice algerina Malika Mokkedem a Nora, la protagonista del suo romanzo N’zid: “[…] bisogna appartenere a un qualche luogo per sentirsi stranieri altrove”. E appartenere a più luoghi significa allora sentirsi stranieri ovunque?

Il viaggio in treno prosegue. Il profumo del nuovo passaporto fa battere forte il cuore per un percorso che è stato compiuto alla ricerca di sé oltre ciò che il destino ci ha dato. Ma per alcuni il viaggio termina: i rifugiati vengono bruscamente fatti scendere dal treno a Rosenheim, il loro sogno si interrompe, così come anni prima si interrompeva la vita di altre persone trascinate in treno in giro per l’Europa. L’ombra di nuovi fascismi e nazionalsocialismi non cessa mai di oscurare l’Europa.

Questo romanzo commovente e rivelatore è una riflessione necessaria sul concetto di Europa, sulla condizione degli immigrati e sull’identità di chi ha più di una patria. Getta però anche nuova luce sull’essere sudtirolesi o altoatesini – o meglio sudtirolesi-tedeschi, sudtirolesi-ladini e sudtirolesi-italiani - come un unico popolo che ha diritto di rivendicare una storia unica, che li accomuna da un secolo ormai.

C’è da augurarsi che il libro di questa autrice, ora in lizza per il Bachmannpreis 2017, susciti presto l’interesse di un editore italiano.

Maxi Obexer parlerà del suo libro insieme a Marlene Streeruwitz alla Biblioteca Tessmann di Bolzano il 5 dicembre 2017. 

 

Maxi Obexer, Europas längster Sommer, Berlin, Verbrecher Verlag, 2017, pp. 105.